Credetemi pure morta, se volete.
Io sono ancora qui con voi. Vi guardo dall’estrema immobilità di questo letto e vi ascolto. Dal giorno dell’incidente, dall’istante in cui sono entrata in questa stanza trasparente e occulta che i medici chiamano ‘coma’.
Vi ascolto con l’orecchio di un bambino nel grembo della madre. E comprendo ogni cosa. Soprattutto ciò che non avevo capito prima. Perché adesso posso tastare i vostri cuori, leggere nei vostri pensieri.
Così ho scoperto che tu, mamma, ti porti dentro un grande rimorso, quello di non avermi accompagnata quella sera, lasciandomi andare da sola in vespa. Ma davvero pensi che sarebbe bastato questo tuo gesto ad evitare che un camion mi urtasse, facendomi volare cinque metri più avanti? Niente e nessuno avrebbe potuto cambiare il mio destino.
Eppure mamma qualcosa c’era, che tu avresti potuto improntare, di molto più importante e decisivo per me. Qualcosa da attuare molto tempo prima, però.
Ma perché non ti è mai venuto in mente?
Qualcosa che mi avrebbe donato fiducia, giovando allo spirito della mia infanzia e della mia adolescenza. Liberandomi da quella crescente inquietudine che mi spingeva ad evadere da casa, a cercare aria nuova tra i fumi di una discoteca. E questo qualcosa era la tua felicità.
Certo la felicità non è un bene perenne. Ma lo è, può esserlo, la sua ricerca costante. E tu mamma, quando hai smesso di cercare la felicità? Forse quando hai rinunciato per sempre ai tuoi sogni. E quali erano i tuoi sogni? Perché non me ne hai mai parlato, mamma? A volte mi pare di vederli i tuoi sogni, aggrovigliati con i fili di questa scatola di latta che tieni accanto al tuo telaio per il ricamo. Sogni di mille colori che passano e ripassano da un verso all’altro della tela, con la pazienza e la grazia di un tempo. E mentre tu ricami in silenzio seduta accanto al mio letto, io vorrei, per scherno o per pura gioiosa follia, lanciare i tuoi fili in aria, inondare la camera di sete e colori, e dirti di non badare più a me, di andare via da qui, da questa casa, e di raggiungere i tuoi sogni, ovunque essi siano. Perché il mio sogno è quello di vederti felice, mamma. Però non riesco a parlarti né a muovermi. Tu piangi, sorda al mio richiamo. E allora non mi rimane che custodirli, i tuoi sogni, nella mia stanza velata, nella calma di queste mie mute palpebre chiuse.